domenica 8 settembre 2013

Attack on Titan: shonen 2.0


Guardando Attack on Titan sto notando come Isayama se ne stia sbattendo di uno dei più comuni cliché dei manga shonen. Ragioniamo un attimo assieme.

In Shingeki no Kyojin abbiamo:
- il protagonista col cupo passato deciso a cambiare il destino suo e dei amici, fermamente convinto delle sue idee, pronto anche a giocarsi tutto per non tradire i suoi ideali e in possesso di poteri che lo rendono unico tra i suoi amici e compagni. Il tipico protagonista shonen inzomma;
- gli amici del protagonista, sempre pronti a seguirlo ma anche ad aiutarlo nei momenti di difficoltà;
- le condizioni storico e sociali, opprimenti per gli ideali e i sogni del protagonista che fortificano quindi le sue motivazioni e quelle dei suoi compagni.
Tutte caratteristiche che rendono Shingeki no Kyojin un tipico shonen: eppure ci sono dei particolari che lo rendono diverso dagli shonen più comuni del nostro tempo (ONE PIECE, Naruto, Bleach, Dragon Ball, ecc). E no, non sto pensando ai fanservice, badate bene. Sto parlando delle morti.
Isayama ride in faccia al vecchio cliché della morte dove ogni volta i personaggi principali scampano alla morte con miracoli a noi sconosciuti. Nei manga citati poco fa le morti si contano sulle dita di una mano: in Dragon Ball addirittura la morte non ha più senso vista la presenza delle Sfere del Drago. Invece in Attack on Titan se non muoiono due personaggi a puntata sembra che l'autore non sia felice.
Che siano compagni appena conosciuti o migliori amici non fa differenza: tutti i personaggi presenti nel manga rischiano di passare a miglior vita ogni momento. E questa cosa mi piace un casino: non perché ami vedere la gente morire (per chi mi avete preso?!), ma bensì perché questa situazione di continuo pericolo aumenta a dismisura quell'atmosfera che l'autore cerca di passarci: la rassegnazione per un futuro migliore e il terrore di lasciarci le penne in qualsiasi momento. Sono condizioni necessarie a mio parere per una storia come quella raccontata da Isayama.
Tutto ciò mi aggrada parecchio: non solo rende quest'opera un attimo diversa dal resto degli attuali shonen in circolazione, ma la rende anche più matura e realistica.
Solitamente gli shonen hanno nascosti due significati: il primo gli accomuna un po' tutti (la perseveranza e la determinazione permettono di raggiungere i propri obbiettivi), il secondo è quello più strettamente legato all'autore del manga. Per esempio Kishimoto ci vuole far vedere che l'unione e l'aiuto reciproco sono inarrestabili; Oda invece ci vuole trasmettere la consapevolezza che un sogno può essere un motore più potente della forza e del potere. E si potrebbe andare avanti all'infinito. 
Ecco, Isayama invece è come se ci volesse dire: è vero, come potere vedere Eren è determinato e deciso a combattere per i suoi ideali e sogni, ma state attenti perché non sarà una passeggiata raggiungere l'obiettivo, anzi il pericolo in agguato può stroncare definitivamente i propri sogni. In pratica ci mostra l'altra faccia delle perseveranza e della determinazione: se davvero si vuole raggiungere i propri obbiettivi bisogna essere pronti a sopportare dolori e sofferenze inaspettate, altrimenti il fallimento è dietro l'angolo. 
Inzomma, diciamo che questo è il secondo motivo per cui Shigeki no Kyojin mi sta piacendo assai: se il primo motivo (di cui vi ho parlato recentemente) mi attira per le questioni socio-politiche e le congiure contro chi vuole un futuro migliore, il fatto delle morti a bomba mi ispira per la fragilità dei sogni e della vita che Isayama ci vuole mostrare. Bravo Isayama, con un manga così maturo stai scalando prepotentemente la mia lista di mangaka preferiti!
Se volete dirmi i vostri motivi che vi spingono a guardare settimanalmente Shingeki no Kyojin fate pure, mi fa sempre piacere! Ci si blogga presto, il vostro amichevole Cappe di quartiere. 

2 commenti:

  1. Ti rendi conto che quello che hai in mano il gigante nella seconda immagine sembra tutto fuorchè una testa?

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